martedì 10 novembre 2009

LA VITTORIA DELLA LIBERTÀ

di Gianni Baget Bozzo


Quando celebriamo la caduta del Muro di Berlino celebriamo la più grande vittoria della libertà e la fine della possibilità dell'olocausto nucleare nel mondo. Se il sistema sovietico non fosse caduto, i rischi della mutua assicurata distruzione sarebbero aumentati con il tempo.

Ciò che è nato dalla fine del comunismo non è certamente un mondo perfetto. La traccia del comunismo è rimasta in tutti i paesi che l'hanno conosciuto e soprattutto in Russia, dove esso aveva distrutto le basi di una società civile autonoma e quindi le regole che garantissero il funzionamento della società in base al consenso della quotidianità e non per esercizio del potere e della burocrazia. Il popolo russo ha sofferto il comunismo pagandolo con milioni di morti. Ma ha dovuto sopportare anche il caos economico e sociale che è nato da «settant'anni di marcia verso il nulla», come recitava in quei giorni un manifesto a Leningrado. I comunisti divennero capitalisti, si appropriarono delle istituzioni economiche che gestivano le incalcolabili risorse della terra russa, mentre la sicurezza della vita cittadina cadeva molto in basso. Dobbiamo a Boris Eltsin la cancellazione in Russia del partito sovietico, ma ciò fu pagato con l'incertezza sui criteri che governavano la vita comune. Un sistema regolato dalla pianificazione e dall'integrazione per via burocratica, si disfaceva in pezzi autonomi, ciascuno alla ricerca del proprio spazio e della propria direzione.

Quello che resse la Russia allora fu il suo sentimento di popolo imperiale più che di nazione, di una vocazione russa a esistere, a essere Russia. Riapparvero i segni della storia pre-comunista e il segno più appariscente fu la ricomparsa della Chiesa ortodossa, l'unico vincolo che in qualche modo era rimasto con la Russia pre-comunista.

Si può guardare al passato e fare il bilancio della storia del comunismo russo: un tentativo unico di cambiare a un tempo la natura e la storia umana con regole partorite dalla sola ragione astratta. L'Unione Sovietica fu la perfetta realizzazione del razionalismo moderno, del suo progetto di costruire un mondo dedotto dalla razionalità della mente, che pensava di organizzare la società perfetta, in cui la dimensione personale dell'uomo coincideva con la sua integrazione sociale, in cui la società era tutto e la persona niente. Tuttavia, la scelta del pensiero occidentale fu quella di dimenticare invece che considerare l'immensa violenza perpetrata dall'uomo sull'uomo in nome di una giustizia interamente dedotta dal razionale e non indotta dal reale, come se l'uomo fosse solo pensiero astratto.

ABORTO: errori fatali sulla RU486

Da CR :

Il 19 di ottobre il Consiglio di Amministrazione dell’Aifa ha dato il via libera alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della determina dell’autorizzazione all’introduzione in commercio della pillola RU486. La pubblicazione della determina è prevista entro il 19 di novembre.


La decisione era nell’aria, visto che un resoconto tecnico-scientifico, redatto dalla casa farmaceutica Exelgyn produttrice del Mifepristone, rivela che la RU486, se usata in modo corretto e nelle dosi indicate, non uccide nessuno (sic!).


Certamente tale resoconto tecnico-scientifico desta più di un sospetto e lascia aperti molti interrogativi, pur tuttavia la strategia messa in campo dalla gran parte degli esponenti cattolici e pro vita si è rivelata perdente, trasformandosi anzi in un clamoroso autogol. L’aver puntato quasi esclusivamente sulla pericolosità del farmaco per la salute della donna, lasciando fuori dal dibattito politico e mediatico il bambino, la vera ed unica vittima certa dell’aborto sia esso chirurgico o farmacologico, significa ora doversi arrendere al “nemico” e senza condizioni.


L’unico “successo” che verrà probabilmente raggiunto riguarda il rispetto della legge 194 che non contempla l’aborto a domicilio, come ribadisce in una nota il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella. Già nel comunicato del 30 luglio scorso l’Aifa spiegava che «deve essere garantito il ricovero in una struttura sanitaria, così come previsto dall’art. 8 della Legge n. 194, dal momento dell’assunzione del farmaco sino alla certezza dell’avvenuta interruzione della gravidanza, quindi in regime di ricovero ordinario». Come mettere in atto tale determinazione, visti i costi elevatissimi che comporta il ricovero ospedaliero fino al momento dell’espulsione e vista l’impossibilità di obbligare la donna al ricovero, non è dato sapere. Comunque, sarà difficile se non impossibile, un improvviso cambiamento di strategia che possa portare ad una inversione di tendenza. Una volta data per certa l’assoluta non nocività (per la donna) della pillola abortiva ed il rispetto almeno formale dei criteri stabiliti dall’intoccabile Legge 194, c’è da scommettere che le parti avverse ben volentieri smetteranno di fronteggiarsi.

UE: l’Europa e il crocefisso, la cristianofobia al potere


Riporto un articolo del prof. Massimo Introvigne, apparso sul sito http://www.cesnur.org/.


Ci siamo. Da diverso tempo si accumulavano i segnali di un prossimo colpo delle istituzioni europee contro il Cristianesimo e la Chiesa Cattolica. Qualche mese fa, il 4 marzo 2009, avevo avuto occasione di partecipare come esperto a Vienna a una conferenza dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dove era stato lanciato l’allarme su una montante “cristiano fobia”, che in diversi Paesi non si limitava più alla propaganda ma si esprimeva in leggi e sentenze contro la libertà religiosa e di predicazione dei cristiani e contro i loro simboli.


L’attacco anticristiano si era finora svolto in modo prevalentemente indiretto, attraverso la proclamazione di presunti “nuovi diritti”: anzitutto, quello degli omosessuali a non essere oggetto di giudizi critici o tali da mettere in dubbio che le unioni fra persone dello stesso sesso debbano godere degli stessi riconoscimenti di quelle fra un uomo e una donna. Tutelando gli omosessuali non solo – il che sarebbe ovvio e condivisibile – da violenze fisiche, ma da qualunque giudizio ritenuto discriminante ed etichettato come “omofobia”, le istituzioni europee violavano fatalmente la libertà di predicazione di tutte quelle comunità religiose, Chiesa Cattolica in testa, le quali hanno come parte normale del loro insegnamento morale la tesi secondo cui la pratica omosessuale è un disordine oggettivo e uno Stato bene ordinato non può mettere sullo stesso piano le unioni omosessuali e il matrimonio eterosessuale.


La sentenza Lautsi c. Italie del 3 novembre 2009 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo segna il passaggio della cristianofobia dalla fase indiretta a una diretta. Non ci si limita più a colpire il cristianesimo attraverso l’invenzione di “nuovi diritti” che, proclamando il loro normale insegnamento morale, le Chiese e comunità cristiane non potranno non violare, ma si attacca la fede cristiana al suo cuore, la croce. I giudici di Strasburgo – dando ragione a una cittadina italiana di origine finlandese – hanno affermato che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane viola i diritti dei due figli, di undici e tredici anni, della signora Lautsi, li «perturba emozionalmente» e nega la natura stessa della scuola pubblica che dovrebbe «inculcare agli allievi un pensiero critico».


Ove tornasse in Finlandia, la signora Lautsi dovrebbe chiedere al suo Paese natale di cambiare la bandiera nazionale, dove come è noto figura una croce, con quale perturbazione emozionale dei suoi figlioli è facile immaginare. Basta questa considerazione paradossale per capire come, per qualunque persona di buon senso, la croce a scuola o sulla bandiera non è uno strumento di proselitismo religioso ma il simbolo di una storia plurisecolare che, piaccia o no, non avrebbe alcun senso senza il cristianesimo. In Italia la signora Lautsi intascherà cinquemila euro dai contribuenti – un piccolo omaggio della Corte di Strasburgo – e avrà diritto di far togliere i crocefissi dalle aule dove studiano i figli. Certo, ci sarà l’appello, e giustamente il nostro governo rifiuterà di applicare questa sentenza ridicola e folle. Ma le “toghe rosse” italiane si sentiranno incoraggiate dai colleghi europei. Che non sono tutti “stranieri” dal momento che uno dei firmatari della sentenza è il giudice italiano a Strasburgo, il dottor Vladimiro Zagrebelsky, campione – insieme al fratello minore Gustavo – del laicismo giuridico nostrano.