martedì 28 ottobre 2008

IL VICOLO CIECO DEI RIFORMISTI PER FINTA


Riporto un articolo di Gianni Baget Bozzo che trovo davvero esaustivo nel chiarire "i movimenti" politci di questi giorni :


«È risorto»: ha intitolato Il Riformista il commento alla manifestazione romana del Pd.....

Veltroni ha definito la manifestazione come l'atto di una «piazza riformista», ma i riformisti ebbero le piazze solo con Craxi e a Milano e furono allora riunioni a favore del governo e non contro di esso. La «piazza riformista» è, per essenza, una piazza governativa.

Ma il testo più commovente è quello pubblicato nel consueto messaggio domenicale di Eugenio Scalfari. Scalfari dichiara la sua passione disarmata, quasi infantile, che lo spinge a visitare la piazza prima della manifestazione come uno spazio sacro, pregando da laico che il popolo la riempia. E poi gridando la sua gioia quando la televisione gli restituisce una piazza piena: non importa di quanti, basta l’immagine del video. Ma in genere tutti si sono compiaciuti perché la piazza aveva un volto, perché il pubblico, assai inferiore al milione, e non di meno era là. Il timore comune era proprio che la lunga storia comunista si fosse dissolta, che il sacro soggetto con cui si è identificata la cultura politica italiana finisse senza oggetto: e che Berlusconi e Bossi fossero il Paese reale che prendeva vistosamente le distanze dal Paese intellettuale, dalla stampa e dalla letteratura politica. Che una forza politica che controlla regioni, province e comuni di tanta parte d’Italia e ha a disposizione la Cgil non potesse riempire il Circo Massimo era impossibile. Ma la piazza del 25 ottobre non è la piazza di Cofferati, quando egli schierò contro il governo Berlusconi la forza del sindacato allora potente e motivato. Oggi Cofferati non potrebbe più produrre quella marcia su Roma e Nanni Moretti non potrebbe più animare i girotondi. Oggi Cofferati, rimosso dal partito, lascia la poltrona di sindaco di Bologna e la Cgil è un’organizzazione emarginata dagli altri sindacati.Ma la piazza di Veltroni non era riformista e non lo è il Partito democratico. La grande crisi aperta dalle banche americane che fa degli Stati e dei governi i decisori dell’economia, dovrebbe interessare un partito riformista, che avrebbe chiesto l’unità nazionale e interrotto ogni polemica con il governo nell’interesse del Paese. Come hanno fatto, a suo tempo, i laburisti inglesi, socialdemocratici tedeschi e i socialisti spagnoli. Ma il Pd non è in grado di fare questo e non lo ha fatto. D’Alema e Bersani sono rimasti inclusi nella linea di Veltroni, mentre ad essa ancora si oppone Parisi e il gruppo dei costituzionalisti. I rifondaroli benedicono la piazza e Liberazione annuncia con reverenza che «parla Veltroni». La manifestazione è stata fatta contro il governo come illegittimo e non democratico e Parisi e Di Pietro vi hanno raccolto firme per il referendum sul lodo Alfano. L’alternativa riformista è stata cancellata dal tempo nel Pds, sin dalla sua nascita alla Bolognina, quando Occhetto respinse la linea socialdemocratica offerta da Craxi e preferì una linea radicale che manteneva la rivendicazione del suo monopolio a sinistra propria del partito comunista.


Ci si meraviglia che Berlusconi sia così duro verso il Pd e verso le manifestazioni scolastiche da esso appoggiate e promosse. Egli sa ormai da decenni che D’Alema è sconfitto e che la linea di Veltroni, il partito radicale che mantiene la differenza comunista, è vincitrice. Il Pd rimane antiberlusconiano per principio e quindi può giustificarsi solo con una lotta frontale contro il governo. Su questo Pd, che non è più né riformista né rivoluzionario muove la pressione sia della Lega che di Di Pietro, cioè di una nuova destra che porrebbe problemi alla democrazia perché costruita solo sulla protesta, mentre il Paese chiede un governo. Speriamo che Berlusconi se la cavi e cavi il Paese dalle tenebre

giovedì 16 ottobre 2008

LEHMAN BROTHERS EX LOBBY DEL CLIMA e il guru Al Gore


Riporto quanto letto su internet in una delle mie navigate...


"Lehman Brothers era davvero una banca strana: solo l’anno scorso aveva pubblicato un voluminoso e influente rapporto che prevedeva l’evoluzione del clima da qui al 2100, ma non era stata capace di prevedere che sarebbe fallita nel giro di un anno.


Cosa ancora più curiosa è che molto probabilmente non si tratta di due episodi scollegati. Lehman Brothers era infatti molto coinvolta nel business del Carbon Trading (certificati "verdi" legati alle "carbon emission) voluto dal Protocollo di Kyoto, e strettamente legata alla “lobby del clima”: consulente scientifico di Lehman Brothers era James Hansen, direttore alla NASA dell’Istituto Goddard per gli Studi Spaziali, considerato anche il “padre” dell’effetto serra ovvero della traduzione in politiche radicali delle incerte teorie scientifiche sul riscaldamento globale.


Non solo, Lehman Brothers era anche la banca di riferimento della società creata da Al Gore nel 2004, la Generation Investment Management (GIM), che si occupa appunto di “commerciare” il carbonio, un’attività questa che potremmo anche meglio definire come speculazione finanziaria sull’aria calda. I legami con Al Gore non finiscono qui: l’Alliance for Climate Protection, di cui il Nobel per la Pace guida il Consiglio d’Amministrazione, ha come Managing Director quel Theodore Roosevelt IV che figura anche come Managing Director della Lehman Brothers, con un incarico speciale nel rapporto con i clienti più importanti della banca. Theodore Roosevelt IV, tra l’altro, non è esattamente un neofita dell’ecologismo. Al contrario egli è noto come un “conservazionista” militante, vice-segretario della Wilderness Society nonché amministratore del Museo Americano di Storia Naturale, del World Resources Institute, dell’Institute for Envirnoment and Natural Resources all’Università del Wyoming, e della Trout Unlimited, società conservazionista che si occupa di proteggere i pesci d’acqua dolce. Per finire Theodore Roosevelt IV è anche il segretario del Pew Center for Global Climate Change, un centro studi che promuove una nuova economia basata sulla teoria dei cambiamenti climatici.


Non sorprende perciò che Lehman Brothers negli ultimi anni abbia investito notevolmente nel business del Carbon Trading e che abbia prodotto un rapporto in due parti (febbraio e settembre 2007)dall’eloquente titolo “The Business of Climate Change”, che vuole convincere gli investitori a sostenere l’economia della “de-carbonizzazione” dimostrando gli alti profitti attesi grazie anche alle ingenti sovvenzioni pubbliche che il sistema del Protocollo di Kyoto genera. Va ricordato anche che quel rapporto ha avuto grande eco tra i leader politici, sui mass media e, ovviamente, dai Verdi è stato portato come prova schiacciante della giustezza della loro posizione: “Se lo dice anche Lehman Brothers!”… Quel rapporto è stato adottato, ad esempio, dai governi di Spagna ed Argentina come base per le politiche climatiche, oltre a essere stato osannato negli editoriali di autorevoli giornali di mezzo mondo. "
A proposito dello stesso personaggio e dell'affermazione della giustizia anche in questo mondo, non sarà però inutile ricordare che nel recente, clamoroso fallimento della Lehman Bros, la sua corresponsabilità è evidente come un cerchio giallo su un elefante; infatti è stato il nostro premio Nobel che ha convinto la banca d’affari ad effettuare poderosi investimenti nel commercio dei crediti di carbonio


Aggiungo..chi semina vento raccoglie tempesta

LO SVILUPPO FA BENE, LEGAMBIENTE LO DICE MA LO NEGA


Tratto da un articolo di di Fabrizio Proietti


In testa alla classifica delle città più "ecosostenibili" e attente ai problemi ambientali in genere, pubblicata dal Sole 24 Ore troviamo tutte città del centro-nord, mentre in fondo troviamo le città del sud. La ragione è evidente: contrariamente a quanto sostengono gli ecologisti, l’attenzione per l’ambiente migliora laddove c’è lo sviluppo.

Quando parliamo di sviluppo non parliamo solo di pil, ma di una serie di condizioni sociali e infrastrutture che rendono più agevole la vita ai cittadini. Scuole che educano, ospedali che curano, servizi sociali che rispondono ai bisogni delle famiglie, strade e ferrovie per collegare, opportunità di lavoro: tutto questo fa parte di una città e di un paese sviluppato, oltre ovviamente al pil.

Il fatto è che in tutto il mondo gli indicatori ambientali - la qualità dell’aria, dell’acqua, la salute delle foreste e così via – sono buoni e in miglioramento nei Paesi industrializzati e cattivi o in via di peggioramento nei paesi poveri.

Cito, a mo’ di esempio, un rapporto del Centro Internazionale per la fertilità dei suoli e lo sviluppo agricolo (Ifdc) il quale afferma che dal 1980 al 2004 l’Africa subsahariana ha visto degradarsi rapidamente il 75% dei terreni agricoli. Motivo: un eccessivo sfruttamento del suolo dovuto a pratiche agricole inadeguate, ovvero sistemi primitivi di agricoltura.

domenica 5 ottobre 2008

CRISI MUTUI, ECCO DA DOVE NASCE


Mentre impazza la crisi dei mercati finanziari, che mette a rischio lo sviluppo mondiale, e si moltiplicano le analisi su radici e prospettive, ci sembra utile riproporre un articolo scritto nel settembre 1999 sul New York Times, in cui si sottolinea la pericolosità di una decisione del presidente Clinton che forzava Fannie Mae (una delle banche protagoniste dell'attuale crac) ad aprire i cordoni della borsa, concedendo prestiti senza garanzie adeguate. Nell'articolo si prevede ciò che sta accadendo in queste settimane. Una lettura più utile di tante analisi.


Dal New York Times, 30 settembre 1999


FANNIE MAE FACILITA IL CREDITO PER FACILITARE I PRESTITI SU MUTUO


Steven A. Holmes


Con una mossa che punta ad aumentare la percentuale di proprietari di case fra le minoranze e i ceti a basso reddito, la Fannie Mae Corporation sta allentando le condizioni per i mutui che acquisterà dalle banche ed altri prestatori di denaro. Questo gesto, che comincerà come programma pilota destinato a coinvolgere 24 banche su 15 mercati diversi -- compresa la regione metropolitana di New York -- mira ad incoraggiare queste banche a concedere mutui per la casa a persone le cui garanzie normalmente non sono sufficienti per ottenere prestiti convenzionali. I funzionari di Fannie Mae dicono che sperano di farne un programma nazionale entro la primavera prossima.


Fannie Mae, il più grosso sottoscrittore nazionale di mutui per la casa, ha subito pressioni crescenti dal governo Clinton per allargare i cordoni dei mutui per favorire i ceti a basso e medio reddito, e ha avuto pressioni anche dai suoi azionisti perché mantenesse la crescita fenomenale dei suoi profitti. Inoltre, premono su Fannie Mae anche banche ed altri istituti finanziari interessati ad essere aiutati a concedere un maggior numero di prestiti ai soggetti cosiddetti subprime. A questi richiedenti, i cui redditi, status creditizio e risparmi non sono sufficienti per ottenere prestiti convenzionali, fanno credito soltanto i finanziatori che impongono tassi d'interesse molto più alti -- dai tre ai quattro punti di più dei prestiti convenzionali.


"Negli anni Novanta Fannie Mae ha aumentato le possibilità di acquistare la prima casa per milioni di famiglie," ha detto Franklin D. Raines, direttore e amministratore delegato di Fannie Mae. ''Ciononostante ci sono ancora troppi soggetti le cui caratteristiche sono appena un gradino sotto quanto stabilito dalle nostre condizioni, che sono stati relegati a pagare tassi di interesse notevolmente superiori sul mercato cosiddetto subprime.'' I dati demografici su questi soggetti sono vaghi. Ma da almeno una ricerca si ricava che il 18 per cento dei prestiti sul mercato subprime è andato a persone di colore, rispetto al 5 per cento dei prestiti sul mercato convenzionale.


Entrando, seppure sperimentalmente, in questa nuova area del credito, Fannie Mae sta assumendosi notevoli rischi in più, che potranno non produrre difficoltà in un periodo florido. Ma questa azienda, sussidiata dal governo, potrebbe trovarsi nei guai se si verifica un periodo di stallo economico, e richiedere un salvataggio da parte dello Stato simile a quello che è stato necessario per le casse di risparmio negli anni Ottanta.[....]


Con il programma pilota di Fannie Mae, ai consumatori ammessi saranno concessi mutui a un tasso di interesse superiore di un punto rispetto a quello dei mutui convenzionali trentennali inferiori a $240,000 -- che attualmente ottiene in media il 7,76 per cento. Se il soggetto sarà puntuale nel pagare le rate mensili puntualmente per due anni di seguito, il tasso scenderà di un punto. Fannie Mae non presta denaro direttamente ai consumatori ma acquista i prestiti che le banche fanno sul mercato cosiddetto secondario. Allargando il tipo di mutui che è disposta a comprare, Fannie Mae spera di spronare le banche ad aumentare i mutui per le persone con un profilo creditizio non proprio eccezionale. I funzionari di Fannie Mae insistono che i nuovi mutui saranno estesi a tutti i soggetti che hanno il potenziale per richiederli. Ma aggiungono che questa mossa mira in parte ad aumentare il numero di proprietari di case fra le minoranze e i ceti a basso reddito che tendono a non raggiungere le caratteristiche finanziarie dei bianchi non-ispanici.


Infatti, durante il boom economico degli anni Novanta è esploso il numero di proprietari di case fra le minoranze. Secondo il Joint Center for Housing Studies dell'Università di Harvard, dal 1993 al 1998 il numero di mutui concessi ai richiedenti ispanici è schizzato in su dell'87,2 per cento. Nello stesso periodo il numero di afro-americani che hanno ottenuto il mutuo per la casa è aumentato del 71,9 per cento e il numero di amer-asiatici del 46,3 per cento. Al confronto, il numero di bianchi non-ispanici che hanno ricevuto prestiti per la casa è aumentato del 31,2 per cento. Nonostante questi guadagni, la percentuale dei proprietari di case fra le minoranze continua ad essere inferiore a quella dei bianchi non-ispanici, in parte perche i neri e gli ispanici in particolare tendono ad offrire minori garanzie per il credito.


In luglio, il Dipartimento per la Casa e lo sviluppo urbanistico ha proposto di arrivare a un portafoglio per Fannie Mae e Freddie Mac costituito per il 50 per cento da crediti verso soggetti a reddito medio e basso. L'anno scorso, il 44 per cento dei prestiti acquistati da Fannie Mae venivano da questi gruppi. Il cambiamento nella politica viene nello stesso momento in cui al Dipartimento si sta indagando su delle accuse di discriminazione razziale rivolte ai sistemi di sottoscrizione automatizzati usati da Fannie Mae e Freddie Mac per determinare la solvibilità di chi fa domanda di credito.

(traduzione Alessandra Nucci)