venerdì 21 novembre 2008

Il Metodo Massonico


Leggo dal manuale massonico per eccellenza The Builders del reverendo Joseph Fort Newton, il volume più influente sulla mentalità dei massoni americani nel nostro secolo:

"Poichè l'anima umana è affine a Dio, ed è dotata di poteri a cui nessuno può fissare un limite, è in fatto, e deve essere in diritto, libera. Pertanto, secondo la logica della sua filosofia non meno che secondo l'ispirazione della sua fede, la massoneria è stata spinta a presentare le sue storiche domande per la libertà di coscienza, per la libertà dell'intelletto e per il diritto di tutti gli uomini di ergersi senza timore e senza paura, uguali tutti di fronte a Dio e alla legge, ognuno pronto a rispettare i diritti dei suoi simili"


Non possiamo non dirci massoni......

lunedì 17 novembre 2008

Caso Englaro. I giudici hanno sbagliato già tanti anni fa

Di seguito il testo di una lettera inviata al quotidiano Avvenire del 16 Novembre 2008


Caro Direttore,

secondo la Costituzione italiana la sovranità appartiene al popolo. Lo scorso 13 aprile il popolo ha scelto una maggioranza di governo. Nel programma della maggioranza di governo compariva la frase “esclusione di ogni ipotesi di leggi che permettano o comunque favoriscano pratiche mediche assimilabili all’eutanasia”. Nonostante questa affermazione perentoria, a breve, salvo miracoli, un medico sfilerà un sondino e avremo il primo caso di eutanasia in Italia.

Evidentemente la sovranità non appartiene al popolo. Forse appartiene ai giudici; forse appartiene a organizzazioni potenti che agiscono sotto traccia; forse appartiene a quei giornali e TV che ci forniscono sondaggi taroccati. Certamente non al popolo.

Di chi è la colpa? Dei giudici? Sì, di alcuni giudici. Ma non solo i giudici che hanno agito in questi ultimi mesi: bisogna risalire più indietro. Quando, tanti anni fa, il signor Englaro chiese per la prima volta che venisse interrotta l’alimentazione e l’idratazione della figlia Eluana, il giudice doveva rispondere: “Lei signor Englaro è il padre, ma non potrà più essere il tutore: ha chiesto infatti per Eluana un’azione contraria al diritto naturale e contraria alla legislazione italiana”. La tutela di Eluana in quel momento doveva passare ad altra persona.

Invece il signor Englaro è rimasto il tutore, e noi, l’opinione pubblica, abbiamo dato per scontato che lui rimanesse il tutore. E’ accaduto perché abbiamo il cuore delicato, più incline al sentimentalismo che al ragionamento: ci sembrava di fare uno sgarbo alle sofferenze del signor Englaro dicendo che non poteva più essere il tutore. Non ci siamo resi conto che facevamo uno sgarbo ben più grave a sua figlia, che ora morirà di fame e di sete; e uno sgarbo ben più grave anche a lui che, volente o nolente, porterà a vita il peso dell’azione fatta su sua figlia e su tutti quelli che, da questo “innesco”, subiranno prima o poi la stessa sorte.

Il signor Englaro non può essere il tutore di Eluana. Visto che non c’è più tempo per cambiare l’opinione pubblica, occorre fare appello a un giudice: quale è il giudice competente per avviare un procedimento di rimozione del ruolo di tutore al signor Englaro? Se c’è, agisca presto.

venerdì 14 novembre 2008

La vittoria di Obama, i diritti civili e la religione


Riporto una parte dell'articolo di Massimo Introvigne, analisi completa di un fenomeno complesso come Obama, la cui elezione è il risultato storico di un processo lungo e dolorosp per l'America, "iniziato con la schiavitù e la lotta delle Chiese per la sua abolizione, e ha un significato insieme epico e di riconciliazione nazionale che trascende ogni altra considerazione, travolgendo anche il primato dei valori non negoziabili invano ricordato dalle autorità religiose" . Non è lecito dunque approrpiarsi di questo traguardo sociale come di una vittoria di istanze culturali (etiche, morali ed economiche) radicali progressiste "mature", (di una maturità illuministicamente intesa), ne è lecito da un punto di vista strettamente politico considerare la vittoria di Obama come il segnale di una revanche democratica internazionale ed italiana, Obama è l'America.


"......Mi spiego. Fioccano commenti (e si è cominciato a urne aperte, con editoriali su tutti i grandi giornali) sul fatto che per la prima volta il voto di quel quaranta per cento di americani che si dichiara religioso e praticante non è andato prevalentemente ai repubblicani, ma ai democratici. I primi sondaggi mostrano che – se tra i protestanti evangelical, cioè conservatori, ha vinto McCain (ma non con i margini bulgari che ebbe Bush nel 2004) – tra gli ebrei e tra i cattolici (praticanti) ha prevalso Obama. Le spiegazioni di questo evento decisivo per le elezioni sono sostanzialmente quattro. La prima è che le persone religiose non votano tutte e solo in base alla religione, e che le crisi economiche gravissime portano sempre a votare contro i partiti di governo, considerati in prima battuta – non importa se spesso a torto – responsabili delle crisi (“Piove, governo ladro”). La seconda è che il battista McCain, come la stampa ha spesso notato, benché schierato in modo gradito alla maggioranza delle persone religiose sui valori non negoziabili, non viene dal mondo dell’attivismo religioso e ha qualche imbarazzo a parlare di religione in pubblico. Al contrario il riformato (calvinista) Obama si presenta come l’erede di una tradizione afro-americana dove i politici – buoni, cattivi o pessimi – sono sempre venuti dal mondo delle comunità religiose, dal reverendo Martin Luther King, Jr. (1929-1968) al reverendo Jesse Jackson, e in tutti i suoi discorsi è costante il riferimento appassionato alla fede e alla preghiera.


In terzo luogo – come ha sottolineato un grande esperto di cose evangeliche, Mark Silk, al congresso appena concluso a Chicago dell’American Academy of Religion – i protestanti evangelical, componente maggioritaria della coalizione religiosa determinante per i passati successi repubblicani, hanno sbagliato nell’opporsi alla candidatura alla vice-presidenza dell’ex-governatore del Massachusetts Mitt Romney lasciando intendere piuttosto chiaramente di non volere un candidato di fede religiosa mormone (meno chiaramente – ma chi doveva capire ha capito – si sono opposti anche alla scelta come vice-presidente di Joe Lieberman, di provenienza democratica ma schierato con McCain, perché si tratta di un ebreo ortodosso e gli evangelical non volevano un candidato non cristiano, o più precisamente non protestante). A prescindere da ogni altra considerazione, questo ha trasmesso ai soci di minoranza della famosa coalizione dei quattro decisiva per le vittorie di Bush – protestanti evangelical,cattolici fedeli al Papa, ebrei ortodossi e mormoni (questi ultimi molto importanti sul piano elettorale perché concentrati in quattro o cinque Stati – non solo nello Utah – dove fanno la differenza) – il messaggio secondo cui per gli evangelical la coalizione funziona se gli altri portano i voti ma il candidato è comunque protestante. Dal punto di vista dei valori non negoziabili la pentecostale Sarah Palin era peraltro la migliore delle candidate possibili: ma questi antefatti spiegano perché i non evangelical non l’abbiano forse difesa quanto meritava di fronte a un’autentica aggressione della stampa liberal, che ha mostrato ai (numerosissimi) pentecostali statunitensi come la tolleranza verso forme religiose con un culto entusiastico e un riferimento insistito ai demoni e alle profezie sia un traguardo ancora lontano per i grandi media americani imbevuti di pregiudizi laicisti e razionalisti.


E tuttavia il quarto motivo per cui il mondo di chi va nelle chiese e nelle sinagoghe (per non parlare delle moschee, dove i parenti musulmani di Obama hanno avuto il loro ruolo) ha messo tra parentesi i valori non negoziabili e ha votato per il senatore di Chicago – a mio avviso, non meno decisivo del primo, quello legato alla crisi economica – è, molto semplicemente, che Barack è un afro-americano. Con eccezioni marginali e quasi irrilevanti, le Chiese e comunità religiose americane nel XX secolo hanno considerato una loro battaglia cruciale quella per i diritti civili della popolazione di colore degli Stati Uniti (dopo essere state in maggioranza nel XIX secolo contro la schiavitù – anche se non necessariamente a favore della Guerra Civile né della successiva criminalizzazione del Sud). I non statunitensi spesso non si rendono conto di quanto questa battaglia abbia formato gli americani che erano giovani negli anni 1960, in particolare quelli religiosi, un numero sorprendente dei quali è andato in Alabama e altrove, prendendo anche qualche manganellata, per manifestare affinché gli afro-americani potessero salire sugli stessi autobus dei bianchi e votare senza essere intimiditi. Per tutti costoro (per esempio per molti amici del sottoscritto, che nel 2004 avevano votato per Bush ma nel 2008 hanno scelto Obama) eleggere un afro-americano alla presidenza negli Stati Uniti chiude un lungo ciclo della storia del loro Paese, iniziato con la schiavitù e la lotta delle Chiese per la sua abolizione, e ha un significato insieme epico e di riconciliazione nazionale che trascende ogni altra considerazione, travolgendo anche il primato dei valori non negoziabili invano ricordato dalle autorità religiose.


A questa considerazione si rivolgono di solito due obiezioni. La prima – illustrata per esempio in Italia da un articolo di Fiamma Nirenstein su il Giornale – è che la sinistra americana (e quella internazionale) ha speculato in modo strumentale sull’etnicità di Obama, mentre non si è emozionata per la nomina a segretario di Stato prima di Colin Powell e poi di Condoleeza Rice, afro-americani anche loro. La Rice in particolare, che sarà ricordata checché se ne dica come brillante artefice di un modo nuovo di fare politica estera, è stata presa a pesci in faccia dalla sinistra nonostante fosse afro-americana. Tutto questo è vero: e tuttavia, come notava già nel XIX secolo Alexis de Tocqueville (1805-1859), gli Stati Uniti sono una monarchia che elegge il suo re ogni quattro anni. C’è una mistica della presidenza assai simile alla mistica delle monarchie. Non c’è, con tutto il rispetto, una mistica del segretario di Stato, così che solo l’elezione di un afro-americano alla presidenza (non la sua nomina a una carica ministeriale, per quanto prestigiosa) poteva essere percepita come un evento epocale e come il coronamento di due secoli di battaglie che hanno avuto anche, se non soprattutto, una dimensione religiosa.


La seconda obiezione è che Obama non è davvero un afro-americano. I suoi antenati vivevano in Kenya e non hanno conosciuto l’esperienza della schiavitù che connota in modo decisivo e profondo l’esperienza dei veri afro-americani. L’obiezione ha avuto un peso nelle prime fasi della campagna di Obama: ma alla fine ha prevalso la sua auto-identificazione (che non nasce con le elezioni, ma risale agli albori della sua carriera professionale e politica a Chicago) con la comunità afro-americana e il fatto che, comunque la si metta, non si tratta di un bianco anglo-sassone.


Nella storia culturale e sociale degli Stati Uniti – anche qualora, come i più pessimisti prevedono, la sua presidenza si riveli debole sul piano economico e della politica estera, quasi un remake dei disastri di Jimmy Carter, e mettendo in conto gli inevitabili scontri con le Chiese in materia di principi non negoziabili – la chiusura dei conti e la riconciliazione nazionale in materia di diritti civili rimarranno comunque un frutto dell’elezione di Obama. Chiuso finalmente questo antico dossier, le Chiese e comunità religiose potranno tornare alle loro priorità. Sui temi dell’aborto e della famiglia (anche se Obama si dichiara contrario al matrimonio omosessuale – ma non così il suo partito) la strada da oggi è più in salita. Ma questo non significa che non debba essere percorsa con coraggio e determinazione. L’elettorato religioso statunitense non è certamente sparito: le voci di una sua morte sono, per dire il meno, premature, anche se il suo modo di esprimersi nel 2008 è stato influenzato da una serie di fattori probabilmente irripetibili.