domenica 21 dicembre 2008

La moschea


di Massimo Introvigne


Nuove moschee in Italia sì o no? Tornano gli equivoci. Dicendo che in Italia vi sono oltre 300 moschee, tecnicamente si sbaglia. Non si tratta di moschee (masjid o jami), ma di “sale di preghiera” (musalla). Da noi le moschee si contano su una mano. Politici di sinistra, studiosi buonisti e anche qualche ecclesiastico cattolico bene intenzionato affermano che i musulmani hanno diritto a luoghi di culto propri. Cioè di sale di preghiera, di cui i musulmani italiani fruiscono con relativa abbondanza. La moschea, invece, non è un semplice luogo di culto.


Come ha scritto il gesuita Khalil Samir su La Civiltà Cattolica, «la moschea, in quanto centro socio-politico-culturale musulmano, non può entrare nella categoria dei “luoghi di culto”, non essendo esclusivamente un luogo di preghiera ». È infatti un centro dove la comunità si raduna per questioni culturali, sociali e politiche, oltre che religiose. Vi si trova normalmente, oltre a una scuola islamica, un tribunale coranico che – come è noto – non tratta solo questioni di fede. Tutta l’azione dell’islam politico parte dalla moschea, e ogni nuova costruzione è percepita come “conquista” e “cedimento” dell’Occidente, tanto più che secondo il diritto musulmano il territorio dove essa sorge acquisisce extraterritorialità facendosi islamico per sempre.


La discussione dovrebbe quindi allargarsi a una politica dell’islam, la quale dovrebbe anzitutto identificare chi vuole usare le moschee come spazi per diffondere ideologie ultrafondamentaliste incompatibili con le nostre tradizioni e con la Costituzione, per non parlare di chi – e non manca – usa le moschee come depositi di armi e centri di reclutamento per il jihad. A costoro gli spazi dovrebbero essere ristretti. Per gli altri – disponibili a riconoscere i valori e la Costituzione della società che li ospita – andrebbe esaminato se la moschea risponda a un bisogno reale o solo simbolico, magari ispirato da “cattivi maestri”. Valutando i casi singoli. Oggi è infatti meglio sbagliare per eccesso di prudenza.

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