giovedì 24 aprile 2008

'68. Farsa tragica

Vaclav Belohradsky.Tratto da: Il Sabato, 20.8.1988, n. 34, p. 31-34.
(Dal sito www.storialibera.it)

Qual è la verità sul '68? Un anno che ha sconvolto il mondo, o una rivoluzione fatta come borghesia comanda?Il '68 ha due colpe. Primo, ha dato via libera agli specialisti del sociale. Secondo, la lotta ai poteri neutri ha lasciato intatto il più neutro di tutti: quello della tecnica.Nei giorni in cui gli ultimi bagliori drammatici di quegli anni si rinnovano nel caso Sofri, Vaclav Belohradsky, sociologo, propone una lettura in profondità di quell'anno magico. Anzi, più che una lettura è una condanna. Ascoltiamola:
Marx dice che l'uomo può far la propria storia solo se mosso dalle passioni che lo spingono al sacrificio. Per mettere al mondo la società borghese erano stati necessari «l'eroismo, l'abnegazione, il terrore, la guerra civile e le guerre tra i popoli». Ma le passioni della rivoluzione borghese sono state suscitate dal suo travestimento piuttosto che dal suo contenuto. Infatti, la ragione calcolante della borghesia, la fredda logica del mercato irrompe nella storia «paludata in vesti romane prima e in quelle del Sacro Impero Romano poi».La scissione tra le passioni e la ragione che caratterizza tutta la storia occidentale verrà superata, secondo Marx, dalla rivoluzione sociale in cui la ragione stessa diventerà passione. Marx esprime questo aspetto della rivoluzione sociale così: «Prima la frase sopraffaceva il contenuto; ora il contenuto trionfa sulla frase».La questione che Marx solleva qui è particolarmente attuale se applicata al '68. Da dove vengono le passioni sessantottesche? La rivoluzione sociale le cui vesti il movimento del '68 indossa sono la frase o il contenuto?
Nel suo libro "Formidabili quegli anni" Mario Capanna cita uno studente milanese che conclude il suo «applauditissimo» intervento «in un'affollata assemblea della Università Cattolica» così: «Le nostre lotte, qui in Italia, sono il segmento di un risveglio che è mondiale. Forse comincia la svolta di un'epoca. Le nostre gambe camminano insieme a quelle del contadino vietnamita e cinese, dell'operaio della Pirelli, dello studente americano, tedesco, francese, giapponese, brasiliano, messicano. Siamo la parte di un tutto. E sentiamo di esserlo. Questa è la maggiore novità».Il lirismo di questo passo rimanda a ciò che Kundera chiama «il kitsch della sinistra». L'identità di questo kitsch è data dalla metafora della Grande marcia in avanti verso l'emancipazione dal passato, dalla religione, dai pregiudizi, «da mille cose ingiuste, dal consumismo, dalla disoccupazione». I sessantottini irrompono nella storia dell'Occidente travestiti da marciatori della Grande marcia.L'essenza della Grande marcia è il mito del sociale. Il '68 ha portato all'estremo il predominio del sociale su tutti gli altri aspetti della vita. Il sociale vuol dire la comunicazione libera da vincoli che porta alla totale trasparenza della realtà. Nel sociale si compie la vera rivoluzione in quanto l'uomo riconosce le sue azioni laddove prima c'erano le forze estranee, superiori, sacre. La rivoluzione sociale consiste nello scoprire i rapporti tra gli uomini laddove sembrano agire le forze superiori agli uomini. La rivoluzione sociale si compie laddove ogni determinazione della realtà e ogni identità viene riconosciuta come un prodotto della comunicazione tra gli uomini. La società che sorge da questo riconoscimento realizza l'emancipazione degli uomini dal pregiudizio feticista sulla natura e sulla società. Il senso del sociale è quello di portare alla trasparenza tutta la realtà.Il '68 contrappone in un modo totale la trasparenza del sociale al feticismo dell'economico, del politico e del legale. Il profitto, la ragion di Stato e l'apparato della legge subordinano a sé ogni istanza che nasce dalla comunità, dalla comunicazione, dall'autocoscienza. Il centro del sociale è la critica delle ideologie che svela l'inganno con cui l'economia, la politica e la legalità vogliono imporsi come «verità oggettive, impersonali, necessarie»
Il Capanna riassume il contenuto del '68 in questa tesi: «Nulla è neutro. Dall'arte alla scienza, alla tecnica, alla cultura, alla religione: nulla; nemmeno il concetto secondo cui nulla è neutro: questa è stata una delle maggiori "scoperte" del Sessantotto. Ed è stata una scoperta fatta da milioni di persone».Nel '68 l'angoscia di fronte alla proliferazione dei poteri neutri nella società contemporanea diventava un'esperienza di massa fatta soprattutto dai giovani. Il rifiuto di «credere» ai poteri neutri unisce tutta una generazione. Il senso della violenza sessantottesca è quello di costringere i poteri senza volto ad assumerne uno, ad agire secondo una propria strategia di parte. La pretesa neutralità del potere annulla le istanze espresse dalla comunità politica: essa costituisce la forma più insidiosa del totalitarismo. I poteri neutri proliferano nelle società complesse. Una società è complessa quando la rivendicazione dell'autonomia avanzata da parte di tutti i settori specializzati diventa il suo problema politico centrale. La contemporanea crescita della specializzazione e dell'autonomia di tutti i settori della società porta infatti alla progressiva neutralizzazione dell'opinione pubblica degradando la democrazia ad un governo di specialisti.Feyerabend sintetizza la situazione così: «La specializzazione è stata sempre un tratto più o meno pronunciato delle culture altamente sviluppate. Ma lo specialista del passato era pienamente consapevole della necessità di subordinare i suoi risultati ai principi più generali e di accettare le critiche che mettevano in questione il valore della sua impresa rispetto al tutto, mentre lo specialista di oggi rivendica l'autonomia. Non solo abbiamo molti settori diversificati e separati ma ciascuno di essi si concentra a proteggere i suoi confini contro ogni possibile critica dall'esterno».Essere specialista significa anzitutto considerare come norma suprema dell'azione razionale quella di prescindere dai punti di vista «esterni». La neutralità consiste dunque nella sospensione della questione della legittimità. Infatti, la questione della legittimità concerne sempre la necessità di considerare le proprie azioni come risposte alle domande che mi vengono rivolte dalla comunità in cui agendo mi integro: sollevare la questione di legittimità presuppone riuscire a rompere il circolo vizioso in cui precipitano le società incapaci di limitare la rivendicazione dell'autonomia da parte dei settori sempre più specializzati. La proliferazione dei poteri neutri si scatena come conseguenza della dissoluzione della vita pubblica dove dal conflitto tra i punti di vista - ugualmente legittimi - si forma l'opinione pubblica capace di subordinare a sé tutte le istanze «private» o specializzate.Tre sono i poteri neutri che invadono la società dissolvendone l'articolazione politica. In primo luogo la tecnica. Capanna dice che dalle risaie del Vietnam viene una lezione che nessun barone può darci: «La tecnologia non è neutra, non necessariamente il suo sviluppo coincide con quello delle forze produttive... è la politica, cioè l'arte dell'emancipazione umana che va messa al primo posto. Già questa consapevolezza era un fatto rivoluzionario e lo diventava due volte, quando cominciò a farsi strada, aprendo varchi profondi, nella cultura scientista, industrialista, tecnologica dell'Occidente».
Capanna formula qui una questione fondamentale che però non ci viene dalle risaie del Vietnam ma è da tempo installata nel centro della cultura occidentale: Habermas considera come tratto decisivo delle società industriali la progressiva riduzione della questione di legittimità a quella della gestione della crescita: è legittimo tutto ciò che è funzionale alla crescita. Heidegger dice che chi considera la tecnica come uno strumento neutro da usare secondo i propri fini è consegnato al suo potere nel modo più totale.Che cosa è la tecnica? In ogni caso Capanna è rimasto del tutto prigioniero dell'idea secondo cui la tecnica sia uno strumento neutrale che può essere usato per emancipare gli uomini o per renderli schiavi: è dai fini per cui viene usata che riceve il suo senso. La convinzione che la tecnica in sé non è né buona né cattiva ma sono i nostri fini a determinarne il valore è, secondo McLuhan, la voce del sonnambulismo contemporaneo. Dire come fa Capanna che «se niente è neutro, siamo noi che dobbiamo dare il colore alle cose» significa credere che la questione della tecnica sia semplicemente una questione che riguarda la qualità dei fini per cui viene usata.L'idea di emancipazione, stessa pensata come fine supremo della storia, consegna l'uomo inerme al potere della tecnica. L'uomo s'emancipa se riesce a trasferire l'essenziale della sua vita in un ambiente dove tutto è reversibile, riproducibile, installabile. La tecnica assicura la credibilità a questa possibilità vissuta come il senso della storia. Come potrebbe mai sottrarsi l'idea di emancipazione all'imperativo della crescita tecnologica?In realtà la tecnica non è neutrale. In essa s'esprime una decisione epocale circa la vera essenza dell'uomo. La modernità industriale è un'epoca in cui l'essenza dell'uomo può essere pensata solo a partire dalla sua capacità di inventare fini per la crescente massa di strumenti. La tecnica impone all'uomo la finalità come essenza e fondamento della sua dignità. Il '68 ci ha resi sicuramente più sensibili alla mostruosa autocinesi della civiltà tecnologica occidentale mascherata sotto le parole d'ordine del «sonnambulismo contemporaneo».
In secondo luogo vi è il potere neutro dei mass media. Ogni risveglio dal sonnambulismo contemporaneo presuppone che si riesca a rompere con quella concezione dei media che li considera «strumenti della comunicazione». Il sonnambulismo di fronte ai mass media consiste nel credere che vi sia una realtà che i media descrivono e su cui ci informano in un modo «più o meno neutrale». I mass media non rimandano ad una realtà al di là di essi, bensì si sostituiscono alla realtà.Uscire dal sonnambulismo contemporaneo presuppone trarre tutte le conseguenze dal potere dei media di dissolvere la tradizione occidentale che situa la dignità di ogni uomo nella lotta che questo conduce contro la tentazione di sostituire le «mere» immagini alla realtà.Il terzo potere neutro è quello della legalità. Weber dice che la legittimità del futuro sarà la legalità cioè sarà legittima ogni norma statuita nel modo formalmente corretto e garantita da apparati specializzati. La riduzione della legittimità alla legalità è un modo di evadere la questione della legittimità delle leggi. Il termine «legittimità» si riferisce alla subordinazione delle leggi all'opinione pubblica, al fatto, cioè, che ogni legge esprime un'idea vivente nella tradizione della comunità e dunque trascendente sia la norma scritta che la sua applicazione concreta. Il sistema della legalità pretendendosi «neutro» rivendica un'autonomia totale dal linguaggio naturale e dalla tradizione morale della comunità la cui vita vuole regolare.L'eredità più attuale del '68 è il disinganno davanti ai poteri neutri che si pretendono il fondamento di ogni ordine legittimo. La reazione contro l'ipocrisia dei poteri neutri perde la sua legittimità nel momento in cui si trasforma in un apparato diventando essa stessa un potere neutro.La parola d'ordine della rivolta del '68 era la parola «sistema». Essa costituiva la metafora dell'autocinesi tecnico-amministrativa che installava dappertutto nella società un governo di nessuno che privava tutti della libertà di agire. Essere «contro il sistema» significava smascherare una strategia di dominazione insidiosa dietro ogni pretesa di neutralità. Ma alla fine le passioni del '68 si sono mostrate complici dei poteri neutri che volevano combattere. Infatti, il '68 ha dato una spinta decisiva alla formazione dello stato assistenziale basato sui poteri neutri specializzati nella gestione del sociale.
Il '68 fallisce per due ragioni
In primo luogo esso s'oppone alla civiltà borghese in nome del primato del sociale che vuole instaurare. Ma lo stato che i sessantottini criticano come «anti-sociale e borghese» è anche esso diventato da tempo uno stato «sociale». Ciò significa che esso si definisce «legittimo» nella misura in cui offre assistenza alle rivendicazioni sociali. Il '68 costituisce una spinta enorme alla ridefinizione della legittimità dello Stato in termini di assistenza: il sociale risucchia il politico. I sessantottini si trasformano in poco tempo in «operatori sociali» a cui lo Stato «assistenziale» demanda massicciamente la gestione delle istanze sociali. Il sociale diventa oggetto di una specializzazione controllata dai professionisti del sociale che si integrano velocemente nel sistema dei poteri neutri contro cui il '68 si è rivoltato. Gli operatori sociali in quanto specialisti del sociale non sono che un altro potere neutro.
In secondo luogo l'opposizione sessantottesca ai poteri neutri si basa su un equivoco: essa non giunge a riconoscere la subordinazione dell'idea di emancipazione alla tecnica. L'essenza dell'uomo pensata a partire dalla differenza mezzi-fini come «luogo della finalità ultima» è al servizio della dominazione planetaria della tecnica. L'uomo sarà emancipato solo quando per ogni suo fine ci saranno mezzi efficaci, cioè quando la tecnica giungerà ad essere l'ambiente più proprio della vita umana.La rivolta del '68 non si è mai fatta consapevole del fatto che l'autocinesi tecnico-amministrativa che tiene nella sua morsa la civiltà occidentale è la conseguenza del modo in cui il senso è stato interpretato in Occidente a partire dai Greci e non solo di una sua deformazione capitalista.
Vorrei riassumere l'eredità del '68 nella formula «crisi della rappresentabilità politica dell'uomo» che è più grave di quella della «rappresentatività delle istituzioni». Quest'ultima presuppone, infatti, che vi siano istanze minoritarie censurate dal sistema politico. Nel movimento del '68 si esprime invece una preoccupazione più profonda: i poteri neutri disperdono nella loro espansione ciò che rendeva l'uomo politicamente rappresentabile. La precondizione della rappresentabilità politica dell'uomo è la partecipazione alla vita pubblica. Nel conflitto tra gli uguali che è l'essenza dello spazio pubblico l'uomo fa l'esperienza della realtà perchè distingue tra ciò che appartiene solamente alla sua vita privata e ciò che invece appartiene alla vita di tutti. La crisi della rappresentabilità politica dell'uomo dipende dalla dissoluzione del legame tra la vita pubblica e l'esperienza. Al posto dello spazio pubblico vi è oggi il suo simulacro - lo spettacolo.Sono convinto che possiamo ricostituire la rappresentabilità politica dell'uomo occidentale solo a condizione che impariamo dai dissidenti dei Paesi comunisti a «vivere parallelamente. La nascita delle comunità parallele è essenzialmente un fenomeno pre-politico. In esse si ricostituisce il legame tra la dimensione pubblica e l'esperienza su cui solamente può fondarsi una resistenza efficace contro la riduzione di ogni punto di vista non funzionale ai poteri neutri a qualcosa di «meramente privato». Le comunità parallele ricostituiscono il legame tra l'esperienza e lo spazio pubblico.
Marx dice che ogni avvenimento nella storia avviene due volte: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa. Il '68 è invece un avvenimento che è arrivato prima come farsa e che non è riuscito a diventare una tragedia. Non c'è più differenza tra la storia e la farsa: le parole di protesta sembrano prive di peso. I rivoltosi sono condannati a recitare una farsa. Il rumore grandioso della storia occidentale non produce più se non farse e spettacoli.Paradossalmente, l'eredità più attuale del '68 è la capacità dei poteri neutri di trasformare ogni protesta in farsa priva di peso. Una divertente «follia dei giovani». Come dare un peso alla protesta nell'era dei poteri neutri che trasformarono tutto in farsa? Ecco la questione del '68.
Vaclav BELOHRADSKY

Solo due breve considerazioni, la prima, la rivolta dei sessantottini si trasformò come abbiamo letto in una integrazione degli stessi, in quel "sistema" corrotto e borghese che criticavano e in una loro commistione con quei poteri neutri (rendendoli "carichi") che essi cercavano di debbellare. La loro acquisita funzione di "operatori sociali" dello Stato, li rese, come li rende tutt'oggi (giacchè molti degli esponenti della politica e delle istituzioni in genere sono appunto ex-sessantottini) promotori (e molto spesso agitatori) di un pensiero politico volto a legittimare nella piena legalità, vale a dire nel pieno consenso (pseudo)democratico decreti e leggi e quindi culture sempre più svincolati da un valore fondante e trascendente la norma stessa ,valore basilare per uno stato, valore da abiurare se si vuole costruire uno società laicista e relativista.
La seconda, notare l'attualità della frase, "Al posto dello spazio pubblico vi è oggi lo spettacolo - il simulacro"; già vent'anni fa come effetti della "crisi della rappresentabilità politica dell'uomo" si prevedevano probabilmente i V-Day e i troppi Reality Show....
Emanuele

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