mercoledì 17 settembre 2008

Morte: quando? Parte 1

Lucetta Scaraffia, dalle pagine dell’Osservatore Romano, riapre una questione che periodicamente solleva discussioni e perplessità: la dichiarazione di morte di una persona umana.

L’argomento è terribile ed affascinante: conosco persone che, tanti anni fa, si iscrissero ad una associazione di donatori d’organo spinte dal solo terrore di essere sepolti vivi. Meglio star certi di finire nella cassa senza rischi di svegliarsi. Il che non è propriamente una dimostrazione di fiducia nella perizia medica, ma ha una sua giustificazione emotiva.

Non sarà forse inutile ripetere alcune piccole considerazioni, tenendo presente sia gli aspetti tecnico-scientifici che quelli etici; non affrontando quelli medico-legali, per il solo motivo che essi sono regolati dalla legislazione, sulla quale attualmente non c’è modo di agire: questo è dunque un aspetto ininfluente non sulla prassi, ma certamente sulla comprensione del problema.

Però resta vero, e anzi assolutamente notabile, che la legislazione si avvale, per esprimersi, di basi di competenza che le sono estranee: ecco il ruolo della scienza medica supportata dal corredo tecnico sufficiente a fornire basi oggettive. Così come è doveroso rimarcare che la nostra legislazione prevede i protocolli più aderenti alle notizie scientifiche certe di cui disponiamo, diversamente da quanto accade in altri Stati europei o nordamericani.

E diciamo subito una verità tanto sgradevole quanto evidente: prima o poi bisogna consegnare il corpo morto ad un seppellitore. Oggi anche ad un inceneritore, a causa del poco spazio disponibile per i cimiteri nelle aree urbane e ancor più il disagio psicologico del pensiero della decomposizione. Non si tratta di cinismo, ma solo di realismo.

Per cominciare è indispensabile fare chiarezza sui termini usati: leggo affermazioni tanto inesatte al punto da fraintendere la realtà.

Morte cerebrale: è una espressione errata, dannosa, fuorviante. Troppo usata, purtroppo, come sinonimo di “morte encefalica”, che invece è tutta un’altra questione. Per dare un’idea, anche se grossolana: come se affermassimo che
dormire profondamente è come essere morto.

Invece, con “morte encefalica” si intende il silenzio elettrico (l’assenza totale, ripetutamente registrata, di ogni attività nella corteccia cerebrale, nel ponte e nel bulbo: tutto l’encefalo!) di ogni struttura deputata a generare e coordinare qualsiasi altra attività del corpo.

Anche solo da questa generica definizione chiunque può capire che se uno che sembra morto, perché magari non risponde alle parole e ai suoni intorno a lui, ma invece respira da solo e il suo cuore batte autonomamente, evidentemente non è davvero morto! Succede che una parte dell’encefalo sia rovinata, ma non tutto: ciò che regola cuore e polmoni funziona! Non entriamo qui nel delicato argomento di come si voglia considerare la vita di questa ipotetica (ma poi mica tanto!) persona: sofferente, non dignitosa, inutile, insopportabile (per gli altri). Queste sono valutazioni diverse dalla semplice constatazione che la vita non ha abbandonato quel corpo.

Come stabiliamo la morte? Rilevando la cessazione delle funzioni che conosciamo necessarie alla vita: respirazione e circolazione. Chiaramente deve essere una cessazione, non una temporanea e breve interruzione; ma sappiamo anche che un quarto d’ora nell’adulto, mezzoretta nel bambino, senza respirare e/o battere del cuore (e le due cose sono strettamente collegate) causano la morte. In pratica: senza ossigeno (procurato nei polmoni) distribuito in tutto il corpo dalla pompa-cuore, il cervello (tutto il cervello!!!) si danneggia e non funziona più, ovvero non è in grado di assolvere alla sua funzione di struttura di coordinamento e di input per tutte le funzioni vitali. E’ un meraviglioso meccanismo autoregolamentato: l’encefalo fa da centralina elettrica, la circolazione porta l’ossigeno dai polmoni alla periferia, anche alla centralina stessa. Interrompere a qualsiasi livello queste funzioni integrate è mettere la macchina corporea fuori uso. Se vediamo qualcuno gravemente traumatizzato, trapassato da pallottole, esanime, senza respirazione, intuiamo la sua morte; ma il motivo vero, in ultima analisi, è sempre riconducibile all’impossibilità di assicurare ossigeno e acqua ai tessuti!

Non sembri, questa elementare descrizione dei meccanismi fisici, dettata da indifferenza verso i sempre presenti significati metafisici: ma è troppa la confusione attualmente presente per tralasciare il lato più concreto.

Coma (depassé, profondo: aggettivi ancora usati ma inesatti) stato vegetativo (permanente o persistente che dir si voglia: in ogni modo si dice impropriamente), non sono equivalenti della morte encefalica: ovvero dello stato in cui, per quel che ne sappiamo finora, la capacità di provvedere ai processi vitali (appunto quelli che consentono la vita) è venuta meno.

E con chiarezza si può affermare che oggi in Italia la legge consente l’espianto di organi solo in caso di morte accertata con criteri neurologici che definiscano un quadro di morte encefalica e non cerebrale.

Per dirla bene: l’elettroencefalogramma piatto NON è ancora morte encefalica, non si espiantano organi se i centri profondi bulbari danno ancora segno di attività elettrica.

Qualcuno può riferire di una certa “fretta” nel cercare di ottenere il permesso dei parenti (in Italia ancora vincolante): e qui si apre la voragine di un corretto rapporto e comunicazione dei medici nei confronti dei pazienti e delle loro famiglie. C’è poi il grande dramma psicologico di vedere qualcuno che amiamo sottoposto a ciò che sembra una cura medica (circolazione e ventilazione forzate per mantenere quel necessario apporto di ossigeno): bisognerebbe spiegare bene che sono solo i tempi richiesti proprio per quell’accertamento rigoroso dei criteri di morte encefalica; bisognerebbe riuscire a far intendere che è proprio un meccanismo di sicurezza per accorgersi se ci si è sbagliati, se una registrazione si è interrotta dando risultati falsati. E’ durissimo vedere e sentir parlare di “cadavere a cuore battente”, perché siamo tradizionalmente legati all’immagine del cuore come centro della vita, ma è indispensabile fare uno sforzo chiarificatore per togliere, per quanto è possibile, l’illusione di vita.

Certamente nessuna legge riesce ad impedire l’abuso: e la consapevolezza di questo dovrebbe sempre accompagnare il legislatore, inducendolo ad una prudenza e ad una umiltà che consentano sempre l’aggiornamento sulla base di eventuali nuove scoperte tecnico-scientifiche.

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