martedì 24 giugno 2008

Quando la FAO lanciava l'allarme fame nel 1974


Il 1 gennaio 1974 la Terra contava 3,9 miliardi di uomini.Una fase acuta di crisi alimentare era iniziata “improvvisamente” nel 1972, a causa di una diminuzione della produzione mondiale di cereali di 33 milioni di tonnellate. Rapidamente erano diminuiti gli stocks di riserva ed i prezzi erano quadruplicati nell’arco di 18 mesi. Sull’aumento dei prodotti agricoli influì anche l’aumento dei carburanti (conseguenza dello choc petrolifero del 1973) e dei fertilizzanti. Mentre la produzione diminuiva, contemporaneamente crebbe la richiesta di prodotti nel commercio mondiale, passando da 52 milioni di tonnellate di grano del 1971-72 ai 68 nel 1972-1973. Nel 1974 le riserve di grano non si erano ricostituite, nei maggiori paesi esportatori si erano ridotte bruscamente dai 49 milioni di tonnellate nel 1971-72 ai 29 nel 1972-73, per poi scendere ancora nel 1974. In India la percentuale di popolazione al di qua della soglia di povertà (22,5 rupie al mese in città e 15 nelle campagne) era passata - dal 1960-61 al 1967-68 - dal 52 al 70%.

Nel freddo 5 novembre 1974 si aprì a Roma la Conferenza Mondiale sull’Alimentazione (durò fino al giorno 16), la crisi era in una fase acuta. L’allora segretario generale della FAO, Addeke H.Boerma, sostenne che la causa di tutto è da attribuirsi alla meteorologia, la quale, come tutti sanno “è capricciosa” (di “climate change” e “global warming” si parlò circa due decenni dopo, all’epoca addirittura numerosi scienziati prevedevano un imminente forte raffreddamento). In tale occasione si ribadì che la fame nel mondo non deriva da una scarsità in assoluto della disponibilità di alimenti. Infatti la produzione complessiva di alimenti nel mondo era in via di principio sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione esistente: all’epoca corrispondeva ad una disponibilità teorica media di 2700 calorie e di circa 70 grammi di proteine al giorno cadauno quando i fabbisogni minimi sono circa 2200 calorie e 35-40 grammi di proteine a persona. Tenendo conto anche degli altri alimenti esisteva una disponibilità teorica in media di quasi il 25% superiore alle necessità.

Secondo la FAO alcuni miglioramenti erano attuabili a breve: prezzi più equi per i fertilizzanti, migliori sistemi di lotta ai parassiti, istruzione agli agricoltori, riforme agrarie, nuove opere d’irrigazione, etc.Nella regione del Sahel (Senegal, Mauritania, Malì, Alto Volta, Niger e Ciad) milioni e milioni di persone avevano dovuto abbandonare le loro terre di fronte all’avanzare della desertificazione. La Mauritania era forse il paese più colpito dalla crisi: nel 1973 il 90% del bestiame era morto e la raccolta di cereali era ridotta a un terzo di quella del 1971, la quale era già diminuita al punto di causare morti e carestie. Un milione di capi di bestiame era scomparso, molti di questi morendo nei pochi pozzi disponibili, li avevano avvelenati con le loro carogne, dando luogo a epidemie e la seguente fuga di migliaia di persone. Ad esempio nella località di Rosso, dove la piovosità media è di 284 mm/anno (calcolata sul periodo 1935-1972), furono misurati 122 mm nel 1968, 126 nel 1971 ed appena 74 nel 1972.Nel Niger la siccità durava da sei anni ed i capi di bestiame morti erano due milioni, animali che in un paese privo di ferrovia costituivano oltre ad un aiuto per sostentamento anche uno dei pochi mezzi di trasporto.Nell’Alto Volta non c’era più cibo ed acqua, gruppi di affamati attaccarono i formicai giganteschi del paese per rubare “le riserve” delle formiche. Nel Ciad l’estensione del suo famoso lago, da cui dipende la vita di moltissime persone, si ridusse a causa della siccità a meno della metà dei suoi oltre 20.000 Kmq. In tutti e sei paesi del Sahel le colture sparirono a causa della siccità, le popolazioni si spostarono a sud verso il mare inseguite dal vento caldissimo proveniente dal deserto.Nel Senegal, nella regione di Diur Bel colpita all’epoca da una siccità estrema, precedentemente era stata scoperta una falda 4,5 miliardi di mc di acqua. Il progetto per la realizzazione di 350 pozzi era stato abbandonato perché il clima era apparso più clemente; purtroppo le persone dovettero tutte abbandonare l’area.

Successivamente la drammatica situazione del Sahel fu vissuta in altre zone: a Dahomey, nella Nigeria, nell’Etiopia, nel Kenia, nella Somalia, nella Tanzania. I morti si contarono a milioni, la siccità oltre all’Africa toccò la California, la Russia centrale, il Giappone. Le prospettive per i decenni successivi sembravano ancor più drammatiche: accanto alle dichiarazioni del tipo “la siccità durerà ancora trent’anni” fatta dal professor Hubert Lamb, c’era chi come lo scienziato inglese Derek Winstanley più tragicamente affermava che sarebbe durata fino al 2030 (un bel 100% di differenza).

Di chi era la colpa del peggioramento del clima in Africa? Dei venti, rispondevano i climatologi, “gli alisei secchi provenienti dal nord costituiscono una specie di sbarramento al monsone umido che viene dal sud. Questo sbarramento, chiamato ‘fronte intertropicale’, si è spostato verso l’equatore ed ha privato le zone del Sahel e di altre regioni del mondo delle importanti stagioni della pioggia. In questo modo il terreno è diventato sempre più secco”. Oltre alla siccità, rei della desertificazione in atto erano anche il pascolo di enormi greggi di capre da parte delle popolazioni nomadi, il dissodamento di ettari di bosco e savana per far largo alle coltivazioni, i paesi ricchi che avevano inviato appena un quarto degli aiuti promessi. “Tre o quattro paesi africani rischiano di scomparire dalla carta geografica” disse il segretario dell’ONU, Kurt Waldheim.All’epoca furono tentate anche iniziative, come quella in Rhodesia, per seminare sistematicamente le nuvole per aumentare le piogge, tanto che il guru verde Lester B. Brown disse che tali operazioni rafforzavano “la prospettiva che ben presto la guerra meteorologica” sarebbe uscita dal regno della fantascienza. All’epoca l’Etiopia era ultima nella classifica del reddito individuale e prima per l’analfabetismo (95%), la burocrazia corrotta del paese non era in grado neanche di utilizzare gli aiuti, in 20 anni furono usati solo 527 dei 1140 miliardi messi a disposizione dall’assistenza straniera.

La siccità durata per 10 anni consecutivi causò una carestia spaventosa e cominciò ad allentare la sua presa poco dopo il 1974; stime dei suoi effetti furono 350mila morti (anche a causa di una epidemia di colera).

Oggi la Terra conta circa 6,5 miliardi di persone, contro i 3,9 del 1974. Nonostante i tanti problemi e sfide da affrontare, Jean Ziegler,UN Special Rapporteur on the Right to Food, afferma riguardo alla quantità di cibo disponibile e tenendo conto che c'è il 67% di abitanti della Terra in più: «Allo stato attuale la produzione agricola mondiale potrebbe facilmente sfamare 12 miliardi di persone. Da un altro punto di vista, si potrebbe equivalentemente dire che ogni bambino che muore per denutrizione oggi è di fatto ucciso».


Forse il vero problema non sono gli andamenti climatici catastrofici e la fine delle risorse naturali, ma come condividerle assicurando a tutti la possibilità di produrre o poter comprare il “pane quotidiano” (come frutto del proprio lavoro; lavoro che garantisce dignità e libertà).


di Fabio Malaspina

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